Attitudine a praticare con tutti

Farvi gli auguri di buona fine 2015 e buon inizio 2016 e’ l’occasione per ricordare lo spirito che anima il nostro gruppo di aikidoka. Gia’ con gli auguri del 2013 abbiamo evidenziato un processo lento ma continuo, una trasformazione silenziosa, non tanto nello stile quanto nell’approccio all’aikido che ci ha portato a cambiare il nome del gruppo da “Scuola di Aikido Tadashi Abe” a “Amicidellaikido”. Useremo poco i nomi giapponesi per evitare l’esotismo e quello che puo’ portare con se’: il “gurismo” e il “settarismo”. Praticare aikido con tutti. Questo e’ un proposito che e’ piu’ facile a dirsi che a farsi. Spesso, dopo anni di una pratica che dovrebbe portare all’unione, ci si ritrova ad essere ottimi tecnici e pessimi rappresentanti dei messaggi del Fondatore. E’ piuttosto comune sentire praticanti con 20-30 anni (o piu’) di allenamento alle spalle, criticare altri praticanti coetanei o meno per il fatto che non rispecchierebbero i canoni di verita’ a cui sono abituati, oppure, perche’ “non si vedono le basi”, oppure perche’ “non c’e’ marzialita’” e via dicendo. Questo atteggiamento si ritrova sul tatami durante i raduni o gli stage, quando i presenti dovrebbero esercitarsi nel ripetere il piu’ fedelmente possibile quanto appena mostrato dall’insegnante in carica. Purtroppo e’ facile vedere le maggiori deviazioni non tanto tra i principianti, quanto tra gli esperti che restano attaccati alle proprie abitudini. Ancora piu’ raro e’ vedere un esperto chiedere all’insegnante di dare maggiori chiarimenti o di ripetere o spiegare questo o quel dettaglio tecnico o qualche ragionamento. Siamo convinti che la liberta’ passi per il rigore e la disciplina e che gli esperti, insegnanti o meno, debbano mettersi alla prova. N.Tamura era solito dire:<<un millimetro a destra o un millimetro a sinistra non e’ piu’ aikido>>. Effettivamente nei primi anni di pratica le prove che vengono offerte sono di tipo tecnico, di resistenza, di tenacia, di ardore (<sette volte a terra, otto volte in piedi>). Con gli anni, purtroppo, e’ raro vedere trasformare questo abituale sistema di allenamento in modo da disciplinare l’aikidoka esperto a praticare l’aiki, l’unione con gli altri, ad instaurare relazioni proficue, a insegnare a praticare con tutti. Con riferimento a questo, un esercizio di auto disciplina consiste nell’accettare le forme proposte da ogni insegnante rispettando il suo lavoro, non importa che si tratti di una pratica o di un tema altro rispetto a quanto usuale per noi e che non condividiamo. La disciplina consente non tanto di essere liberi di criticare ma di essere talmente liberi da accettare l’altro. Ai giovani praticanti di oggi, che diventeranno esperti di domani, suggeriamo di allenarsi (e certamente noi li inciteremo in tal senso) a ripetere sempre e comunque quanto visto fare da ogni insegnante condividendo con lui ogni dubbio o riflessione. Tutto questo sara’ poi un utile supporto per approfondire, dibattere l’argomento anche nel proprio dojo condividendolo con chi non era presente alla lezione, persino nel caso in cui non si sia d’accordo. Agli insegnanti esperti o meno, suggeriamo di praticare in modo analogo, di allenarsi a spazzare il tatami o l’ingresso del dojo, di pulire il proprio specchio, di svuotare il proprio bicchiere, di disciplinare il proprio ego e aggiungiamo, di abituarsi a proporre ai propri allievi quanto mostrato da altri nei raduni anche se non si condivide quanto visto. Anzi, riproponiamo nel nostro dojo i temi affrontati altrove in modo da esercitarci a ricordare l’esatta sequenza di quanto presentato durante lo stage. Questo aumentera’ la nostra concentrazione ( o almeno la memoria) e ci servira’ per rivedere a freddo gli esercizi e a far decantare un potenziale messaggio per raccoglierlo tempo dopo. Quest’attitudine, questo allenamento ci garantira’ anche settimane o mesi di lezioni gia’ preparate: di questo dovremo essere grati a chi ha tenuto il corso in oggetto, sia che ci abbia interessato molto, sia che lo abbiamo odiato. Anzi sara’ ancora piu’ allenante in termini di disciplina interiore se il corso che riproporremo ci era completamente lontano. Un altro tipo di allenamento che troviamo particolarmente utile sotto tutti i punti di vista e’ quello di riassumere per scritto i corsi frequentati o tenuti condividendo il testo con gli insegnanti che avevano la responsabilita’ delle lezioni per verificare di aver colto i dettagli e il quadro generale (quando c’e’). L’aikido non e’ solo pratico e teorico; e’ verbale ed anche scritto. Visto che si parla di aikido applicato (praticato) nella vita di tutti i giorni, a maggior ragione dobbiamo scrivere sull’aikido e non solo parlarne o sudare: nello stesso modo in cui tutti i giorni scriviamo, conversiamo e camminiamo. Pierre Chassang diceva di non lasciare la testa nello spogliatoio e noi aggiungiamo non dimenticatevi nemmeno la penna. Una strategia indiretta per sviluppare l’autodisciplina e’ la disponibilita’. Essa si esprime anche nell’offrire ad un insegnante esterno la possibilita’ di tenere lezione del proprio dojo, persino nel caso in cui non si sia ricevuta la stessa ospitalita’. In questo modo inoltre, si esprimono, si attuano e si sperimentano i canoni di cortesia ed etichetta tra insegnanti e responsabili di dojo (tipici delle arti marziali) Questa strategia della disponibilita’ oltre a metterci alla prova, aiutera’ ad aprire le relazioni, le rendera’ dinamiche, inneschera’ un processo di interrelazione e stara’ a noi trarne profitto. Per correggere se’ stessi non basta volerlo; con la sola volonta’ non e’ detto che si riesca ad uscire da cio’ che ci e’ usuale, abituale, comodo; tutto cio’ che e’ ritenuto tale dal nostro cervello, dal nostro pensiero, e’ comodo cosi’ com’e’ e per scomodarlo e’ necessario usare una strategia indiretta, “stratagemmi” che facciano emergere le nostre spigolosita’, le nostre emozioni, le nostre reazioni di fronte ad uno scarto inatteso. Allenarsi a questo e’ difficile se si resta ancorati al nostro dojo, ai nostri compagni, a cio’ che ci e’ famigliare. Per creare lo scarto adeguato e metterci in discussione, proponiamo agli esperti (diciamo a chi ha almeno oltre 5-7000 ore di pratica) di non indossare l’hakama e di partecipare a raduni, stage e lezioni in altri dojo senza rivendicare alcunche’. Proponiamo di ritornare come principianti: inizialmente, in modo formale, togliendoci le “mostrine” e, con la pratica, anche in modo sostanziale, svuotandoci dei nostri pregiudizi ed aprendoci all’altro, diventando disponibili ad accogliere le osservazioni che l’altro (che non ci conosce) esperto o principiante ci fara’ (eccome se ce ne fara’!).Ci troveremo catapultati in un tornado di emozioni che ci faranno lavorare duramente su noi stessi per non cedere alla tentazione di rivendicare un qualche status pregresso, di riprendere la via facile invece di continuare a seguire la difficile strada della strategia della disponibilita’. Tuttavia se persevereremo avremo la possibilita’ di conoscerci a fondo e di raccogliere utili suggerimenti da tutti (cosa che non sarebbe avvenuta se avessimo mantenuto lo status quo). Con il termine “tutti” intendiamo riferirci ai praticanti che hanno anche solo qualche mese di allenamento e ai quali sta a noi adeguarci. E’ essenziale la disponibilita’ ad ascoltare e mettere in pratica. Ascoltare per poi fare solo come voi ritenete adeguato fare, sarebbe una disfatta per la vostra formazione e il successo del vostro piccolo ego. Ascoltare e metter in pratica ci permettera’ di allenare in modo impareggiabile la disponibilita’ alle relazioni, disponibilita’ di spirito e di corpo: non ci irrigidira’ nella resistenza e ci accorgeremo sempre piu’ di cosa l’altro trasmette, di eventuali punti di forza o punti di debolezza, di faglie nella postura o nell’attitudine. Da questo punto di vista saremo noi ad avere il vantaggio rispetto al nostro partner se questo non lavora con lo stesso spirito. In sostanza, una volta che la strategia della disponibilita’ viene esplicitata e chiarita, obbliga tutti ad un lavoro ancora piu’ attento perche’ durante la pratica non ci sarebbero segni esteriori a metterci in guardia. Diventerebbe un allenamento alla percezione. “Non sottovalutare e farsi sottovalutare” appartiene all’arte della guerra. Addirittura allenarsi talmente tanto nello svuotarsi, nel farsi vuoti per ricevere l’altro da sembrare incapaci di fare una caduta o al contrario, far cadere il compagno facendo sembrare si sia trattato di un caso, di un evento fortuito spontaneo, fa parte dell’arte. Questa capacita’ di adattamento al processo in corso manifestata tramite il gesto disinvolto, spontaneo, privo di attaccamento, potrebbe rappresentare quella semplicita’ che viene richiamata dai Maestri quando dicono di ritornare principianti, tornare all’origine: quel fondo indifferenziato tra il c’e’ e il non c’e’ da cui sgorgano le 10.000 tecniche (parlando di arti marziali). Allenarsi nella strategia della disponibilita’ guida e conduce quindi all’armonia intesa come regolazione spontanea delle trasformazioni che avvengono durante l’allenamento. Analoghe considerazioni (con le dovute cautele) si potranno applicare alla vita di tutti i giorni.

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