L’Aikido deriva, come s
Tutti gli interventi dei partecipanti sono stati utili a fissare dei tasselli per la comprensione di questi due termini che ci interessano unicamente in occasione degli esami, quando l’insegnante chiede una o l’altra esecuzione di una tecnica. Naturalmente l’argomento e’ solo stato sfiorato ed anche nelle applicazioni pratiche ci sarebbe un grande lavoro da fare; cosi’ faccio alcune considerazioni che potranno dare un ulteriore spunto per approfondire. Qualche lezione prima dello stage avevo spiegato la relazione tra i movimenti Omote ed Ura con la spada: se vi ricordate avevo detto che Omote era valido con un avversario, ma lasciava scoperto la schiena nel caso di piu’ avversari, cosi’ bisognava entrare con Ura e colpire con un solo colpo quello di fronte (Omote) e quello nascosto (Ura).
Le tecniche Omote sono quindi adatte nelle forme standard, ma una delle reali intuizioni di O’Sensei fu proprio la scoperta dei movimenti Ura, che ci permettono di poter agire nello spazio con pieno controllo della situazione creata dal fronteggiare piu’ avversari. Dal punto di vista delle tecniche possiamo dire che non tutte possono essere attuate in Omote o Ura, o meglio…se le faccio in Ura sono piu’ sicuro (ad esempio katate tori kaiten nage): con un movimento tenkan mi metto in posizione di lanciare uke avanti, di lato, dietro; provare a farla Omote e’ difficile e rischioso (atemi avversario).
Se provo a farla su attacco yokomen, devo inizialmente agire sull’Omote dell’avversario per poi chiudere la tecnica in Ura con un grande tenkan. Tenchinage ad esempio e’ una forma schiettamente Omote; in Ryote tori entro sul suo lato e lo proietto dietro. E’ un Omote classico, ma se c’e’ un avversario dietro posso controllarlo lanciandogli contro uke con un cambio di squilibrio ed ho agito lavorando sull’Omote dell’avversario.
Omote significa: esteriore, di fronte, evidente, apparire, viso, esterno
Ura significa: interno, dietro, nascosto, essere, mente
Nella lingua quotidiana sono utilizzati in molti aspetti che esulano dalla nostra ricerca e chi desiderasse approfondire puo’ trovare nel lavoro di Takeo Doi “Omote Ura :the Anatomy of self Kodansha” tutto cio’ che soddisfa la curiosita’ .
La tsuba e’ Omote se e’ nella saya, Ura se la spada e’ in seigan.
Tornando a noi, possiamo dire che in aikido sono riferiti all’avversario, che come tutto in natura ha un fronte ed un retro: dobbiamo giungere a controllare il suo centro con gli spostamenti irimi per Omote e tenkan per Ura, irimitenkan e’ ambivalente.
Prima della seconda guerra mondiale, Omote e Ura non erano utilizzati: si preferiva usare irimi (entrare) e tenkan (andare dietro); come ho accennato prima ,per alcune tecniche e’ difficile definire se sono Omote o Ura (koshinage, shihonage ,kotegaseshi) ed e’ quindi auspicabile non cercare di definire una tecnica in modo assoluto, superando l’aspetto tecnico e sfruttando,come una volta, i movimenti irimi e tenkan . Possiamo sintetizzare che omote ed ura sono relazionati alla nostra posizione rispetto ad uke, mentre irimi e tenkan sono relativi ai movimenti per agire sull’avversario; mi sembra che i kanji antichi significassero semplicemente la parte della pelliccia con il pelo rivolto all’interno o all’esterno. Il compito di Sara e’ quello di fornirci lumi piu’ precisi, cosi’ potra’ toglierci la curiosita’ e la ringraziamo anticipatamente.
Nella tradizione dei Koryu Omote e’ la forma visibile e percepibile anche al principiante, Ura la forma nascosta, ricca di significati talvolta esoterici (ki, kokyu, armonia, ecc). Questi due concetti rispecchiano il dualismo in / yo dell’universo. Da un punto di vista pratico Omote e’ piu’ facile ma comporta il passaggio di fronte all’avversario con conseguente pericolo, Ura piu’ complessa richiede la capacita’ di assorbire la forza avversaria e siamo piu’ protetti.
Non dobbiamo soffermarci sull’apparenza di questi due concetti, ma penetrarne il cuore trovando al loro interno significati che rispecchiano il pensiero Bugei..
Pierdomenico Anzalone Sensei
apete, dalla elaborazione personale del maestro Ueshiba di tecniche e concetti tratti dal mondo del Budo, e piu’ precisamente dalle arti della spada, iari e tai. Studiando questa pratica e’ possibile realizzare i principi di Ki e Hara. Strettamente correlato al concetto del Budo, e’ lo studio dello Zen. Tutti sappiamo che lo Zen fu alla base dello sviluppo delle eccezionali capacita’ dei Samurai nel dare risposte immediate a situazioni di pericolo. Le applicazioni maggiori di queste teorie si ebbero nell’arte della spada. Tra le varie teorie dello Zen, quella che ebbe maggior risalto presso i guerrieri riguardava l’immediatezza della percezione tramite l’intuizione: per i fautori di questa lo sviluppo di capacita’ intuitive era piu’ importante di quella puramente tecnica, poiche’ permetteva di rispondere immediatamente in situazioni di pericolo. Le applicazioni maggiori di queste teorie si ebbero ad opera di monaci Zen come Dokyo Etan e Takuan, o di maestri fondatori di scuole come Musashi o Iso. Descrivere anche sommariamente la figura di Takuan e degli altri ci porterebbe fuori dalla nostra chiacchierata per entrare nella piu’ vasta storia del pensiero medioevale giapponese. Divenuto monaco Zen, a soli 32 anni dirige il tempio Daitokuji di Kioto , insegna al maestro di scherma Yagiu Tajima no Kami al quale dedica il suo pensiero nel Fudo Chi-Shimmio Roku “I misteri della saggezza immobile”, in cui spiega come applicare praticamente lo zen alla scherma. In questo Takuan armonizza le posizioni dei fautori estrinseci ed intrinseci della pratica :”la conoscenza tecnica non basta, bisogna oltrepassare la tecnica sino a farla divenire non tecnica fluente dal subconscio”, nello stesso tempo sottolinea “l’allenamento alla tecnica ed ai suoi dettagli non deve essere sottovalutata , perche’ la conoscenza dei fattori interni non porta il corpo a padroneggiare i movimenti”. Quando la mente e’ interessata alla spada ,ne diviene prigioniera; se uno cerca di colpirvi, i vostri occhi afferrano il suo movimento e lo vincete seguendolo; se vi fermate sarete battuti. Tutti questi esempi sono tratti dall’arte della spada ma si adattano perfettamente all’Aikido che e’ una scherma senza spada. L’Aikido dimostra la sua superiorita’ rispetto le altre forme di combattimento quando avviene contro piu’ avversari perche’ Ueshiba ha applicato il pensiero di Takuan: “Supponiamo che 10 uomini vi fronteggino, ciascuno pronto a colpirvi con una spada, muovetevi e colpite uno dopo l’altro senza mai permettere alla mente di fermarsi su alcuno; ciascuno dei 10 sara’ cosi’ affrontato con successo; cio’ e’ possibile solo se la mente muove da un oggetto ad un altro senza arrestarsi su ciascuno. Non c’e’ dubbio che voi vediate la spada colpire ma non dovete pensare dove colpira’, non controllatelo, semplicemente percepite il movimento, seguitelo, senza che la mente si soffermi su di esso.. Un altro pensiero notevole di Takuan riguarda la relazione e l’enfasi data al rapporto hara / tecnica; per lui non c’e’ diversita’ tra l’esagerata ricerca dell’hara e della tecnica, perche’ ambedue creano robot: tenere la mente chiusa nel bassoventre e’ un errore in quanto chiudere e’ gia’ una limitazione alla indipendenza della mente; essa deve essere lasciata libera di muoversi secondo la propria natura. Il pensiero di Takuan ha un aspetto universale ed il suo esame esula da queste semplici note (anche realizzarle nell’allenamento dell’Aikido e’ oltremodo difficile). Il libro “Misteri della saggezza immobile” e’ diviso in tredici capitoli i cui titoli sono massime buddiste. Egli le applica alle arti marziali con una terminologia facilmente comprensibile al guerriero. Si puo’ dire che il fulcro del suo insegnamento si condensa nella frase “tenere lo spirito in nessun luogo”, con il quale Takuan esprime il pensiero buddista .Muore nel 1645 mormorando una sola parola “YUME”. Voglio citarvi due poesie di una profondita’ assoluta che dovrebbero accompagnare le meditazioni dei praticanti l’Aikido.
“La luna discende gia’ dietro il monte dell’ovest. Non se ne vede piu’ che un semicerchio. La luce e’ onnipresente. Essa rischiare i templi e la polvere”
“Non si ripete due volte questo giorno. Scheggia di tempo, grande gemma: mai piu’ tornera’ questo giorno. Ogni istante vale una gemma inestimabile”.
Il primo capitolo tratta della necessita’ di mantenere una mente dinamica che non si arresti (dal sanscrito avidya). Applicata all’arte marziale dice: “Se il nostro spirito e’ concentrato sulla sciabola che avanza, i nostri movimenti si rilasciano e noi saremo tagliati; se il nostro spirito si attarda sul fendente dell’altra spada o su colui che taglia o sulla distanza o sulla cadenza, siamo tagliati. Concentrarsi per non distrarre la mente appartiene allo stadio del noviziato; se voi legate la vostra attenzione alla spada, il vostro spirito sara’ legato alla spada. Armonizzatevi al ritmo della spada nemica senza pensare alla controffensiva ne’ fate congetture, utilizzerete cosi’ le possibilita’ che nascono naturalmente e potrete utilizzare la sua spada per colpirlo. (Non e’ questo lo scopo dell’aiki takemusu? che ci affanniamo tanto a raggiungere?). Nel secondo capitolo spiega il concetto di saggezza immobile, dove immobile non sta per statico come un sasso, al contrario e’ espressione della massima liberta di movimento che permette allo spirito di non soffermarsi mai. Il possesso della saggezza immobile e’ come quando si guarda un albero: se uno fissa una sola foglia non vede l’albero, ma se uno guarda tutto l’albero allora tutte le foglie entrano nel campo visivo. Viene poi un ottimo rapporto tra la condizione del principiante e quello dell’esperto nella scherma e la sua conclusione e’ che l’inizio si trova alla fine come il numero 1 si trova dopo il 10. Nel capitolo terzo spiega come il tempo di riflesso debba essere piu’ piccolo dello spessore di un capello. Nel capitolo quarto si spiega che bisogna agire come una scintilla. Nei capitoli 5-6-7 si chiarisce dove porre la mente e la diversita’ tra mente chiara e confusa. I capitoli 8-9-10 ci danno gli esempi utilizzati spesso dai maestri di Budo della zucca e della palla (come insegnava a me Kenshiro Abbe). L’ultimo capitola tratta del bene e del male e quali siano i compiti di un maestro di arti marziali nella quotidianita’ della vita. Il secondo saggio, il “Tintinnio Cristallino delle Gemme” (Reiroshu), e’ piu’ difficile da interpretare perche’ tratta di aspetti circa la natura umana e necessita di una certa cultura del buddismo, ma chiunque puo’ sforzarsi di capire e cercare di divenire consapevoli di cosa voglia dire vivere (diverso da vegetare). L’ultimo saggio “Gli annali della Spada Taia” (Taiaki) tratta nuovamente del rapporto tra uomo zen e spada; e’ di difficile comprensione perche’ si riferisce a trattati cinesi commentati dallo stesso Takuan, ma vale la pena distaccarsi dalle tecnologie moderne per riflettere almeno un po’ sulle sue parole (almeno per chi prova a seguire l’Aikido non solo come gioco marziale). Secondo gli insegnamenti di Takuan la conoscenza dell’arte della spada doveva condurre all’illuminazione, alla realizzazione spirituale. Il suo pensiero fu indispensabile per la crescita di due famosi guerrieri che scrissero opere quali Heiho Kadensho di Yagyu Munemori e il Gorin No Sho di Miyamoto Musashi (che vi invito caldamente a leggere in modo non superficiale, ovvero a non ricercare unicamente elementi e tecniche da utilizzare nella pratica). Sperando di avervi almeno incuriositi vi auguro buona lettura.
P.D.Anzalone Sensei Aikishugiosha